La novità di maggior rilievo di questa edizione dell'Annuario della Nautica sta nella data di uscita: primavera. La scelta editoriale di far arrivare in edicola l'Annuario, non già subito dopo il salone nautico di Genova ma dopo l'inverno, è dovuta in parte anche alle richieste pervenute in redazione, intese ad avere un prodotto fresco di stampa quando il sole ci invita a pensare al mare, alla barca, alle vacanze. Questo Annuario presenta anche il vantaggio di notizie maggiormente aggiornate, rispetto a quelle di solito contenute in un'edizione che appare approssimativamente a Natale. C'è stato il tempo di procurarsi informazioni più precise, di essere a conoscenza delle ultime novità dei cantieri, che oggi stanno già preparando le nuove barche per il prossimo salone ligure, destinate alla stagione 1986. Pensare a realizzare nuovi modelli per avanzare verso il futuro, è per i cantieri oltremodo coraggioso, in particolare in un momento come questo, irto di difficoltà per l'economia nazionale e soprattutto per la nautica da diporto. La battuta di arresto di cui si parla da anni sembra proprio aver raggiunto in pieno il settore; molti cantieri sono scomparsi o hanno rallentato l'attività, a tal punto da non essere più presenti alle mostre di settore, né sulle pagine delle riviste specializzate con i propri annunci pubblicitari. In questo panorama dalle tinte fosche, per molti operatori è un piacere osservare come operino con efficienza ancora nomi come Rio, Nautirama, Motomar Yachting, Novamarine 2, Riva; ma l'elenco per fortuna sarebbe ancora lungo, e ne è prova l'elevato numero di pagine di questo Annuario. È vero però che alcuni nomi sono scomparsi, sopraffatti dalle difficoltà operati-ve. L'Italia sta attraversando un momento in cui la stabilità della lira, tanto decantata dagli economisti, nulla può contro l'inarrestabile ascesa del dollaro; e purtroppo, molti prodotti sono strettamente condizionati al suo andamento sul mercato. A partire dai motori fuoribordo più diffusi, prodotti in USA o in Belgio su licenza ma comunque dipendenti dal dollaro, fino alla resina per la stratificazione degli scafi, direttamente derivata dal petrolio e quindi legata al prezzo di questo al barile - prezzo naturalmente espresso in dollari - tutta la nautica dipende dal comportamento della moneta americana. Un grosso colpo all'arresto della nautica da diporto — inteso come crollo della domanda commerciale - è imputabile all'arrivo del redditometro, il decreto dell'ex ministro Forte, sostenuto dalle disposizioni fiscali prese dal ministro Visentini. L'andamento della politica tributaria in Italia è stato improntato al recupero di crediti, creandone ove non ce ne fossero stati, per guadagnare terreno verso il pareggio e l'appiattimento dell'inflazione. Indubbiamente, tale politica si è resa necessaria per l'andamento della bilancia dei pagamenti e per contenere il tasso di inflazione entro una scala di valori decrescenti: ma tale linea di condotta da parte del governo, e in particolare del ministro delle Finanze, ha comportato un irrigidimento nei confronti di tutti i beni voluttuari, protagonisti di una diversa denuncia dei redditi, più penalizzante. Il possesso di un'imbarcazione infatti si assimila per coefficiente elevato al reddito presunto dovuto a un'automobile, una casa (o due), alla presenza di una colf in casa, per non parlare di cavalli e aerei. L'incidenza di questo orientamento fiscale sull'andamento delle vendite di imbarcazioni da diporto, in particolare di grandi dimensioni, si nota già dall'abbondanza di offerta dell'usato a prezzi favorevoli, dai tanti che vogliono disfarsi della barca per non incorrere nelle «penitenze» previste dal fisco. Il rallentamento delle vendite quindi è dovuto sia all'impennata dei prezzi di listino (a causa delle materie prime che dipendono dal petrolio) che alle difficoltà di gestione per le barche a motore, in particolare per l'elevato prezzo del carburante. A ciò si aggiunge la situazione fiscale, che riduce ancor più il margine di appassionati in grado di continuare a gestire un'imbarcazione. Ma i problemi non finiscono qui, l’Italia offre anche un ulteriore aspetto negativo per gli armatori degli scafi da diporto, ed è un aspetto particolarmente fastidioso quanto importante: la cronica mancanza di porti lungo tutte le coste. In più di 8.000 chilometri infatti, sono molti i tratti completamente sguarniti. La mancanza di porti in Italia è stata finora oggetto di numerosi convegni con le autorità più diverse, ma non si è ancora ottenuto uno sblocco che abbia indicato la giusta via per la realizzazione di nuove opere. Il ministro della Marina mercantile Carta, è arrivato a proporre la realizzazione di porti misti per diporto e pesca; ma anche questo tipo di soluzione non rappresenta certo quella ideale, perché le esigenze delle due flotte sono comunque diverse e spesso incompatibili. La situazione a oggi insomma è che comprare una barca richiede l'impegno di grosse cifre, mantenerne il possesso significa aprire un deflusso monetario richiesto dal fisco, e per di più nel frattempo non trovare un ormeggio per sistemarla. Tutti questi problemi di importanza primaria hanno generato una situazione di stallo nel mercato del nuovo, aggravata dall'abbondante offerta dell'usato, causata dall'impossibilità per molti di continuare a mantenere una barca. Purtroppo il fermo delle vendite di imbarcazioni nuove ha tolto lavoro a molti cantieri, provocando cassa integrazione, licenziamenti, chiusura di alcune società. Di pari passo ha subito un rallentamento l'attività dell'indotto legato alla nautica, con un blocco occupazionale anche in quei settori. Ferma restando la necessità imprescindibile dello stato italiano di poter recuperare crediti e sanare la bilancia dei pagamenti, sarebbe opportuno trovare soluzioni che almeno non comportassero un calo dei posti di lavoro per i dipendenti dei cantieri, che oggi versano invece in grave difficoltà.