John Knyveton, autore del diario che offriamo al pubblico, nacque a Bromley il 16 settembre 1729, terzo ed ultimo figlio di Mary e Charles Knyveton, speziale di quel villaggio. Suo fratello, il primogenito, era nato nell'ottobre del 1724 e sua sorella nel maggio 1726. La madre di John morì nel dare alla luce il suo terzo figlio, così che Charles Knyveton si trasferì a Chatham, ove aprì un gabinetto chirurgico e un dispensario farmaceutico. Ma la sua attività non ebbe fortuna, ed egli morì nel 1731 in conseguenza d'una graffatura fattasi mentre operava un ascesso. I tre orfani furono pertanto adottati dallo zio paterno, George Martin Knyveton, medico chirurgo residente nel villaggio di Hestley, Kent. Era costui un lontano antenato di un intimo amico nostro, che trovato il Diario tra vecchie carte di famiglia, ce lo offrì cortesemente in dono, non ignorando la nostra profonda passione per tutto ciò che si riferisce alla Storia della Medicina. Fu stabilito che i due fratelli sarebbero stati allevati nella professione paterna e pertanto, e in armonia con le usanze dell'epoca, entrambi fecero il loro tirocinio, prima di raggiungere «l'età della ragione» - diciassette anni nel caso di John, diciotto in quello di suo fratello - presso lo zio, col quale s'impratichirono per varii anni, prima di recarsi a Londra a terminare gli studi seguendo ciascuno un corso ospedaliero da sei mesi a un anno presso uno dei grandi ospizi londinesi. In quei giorni le basi delle moderne discipline mediche cominciavano ad essere gettate. Tanto i medici quanto i chirurghi non credevano già più al trito dogmatismo delle antiche autorità, Aristotele, Ippocrate, Galeno, le cui teorie avevano dominato per cinquecento anni, e cominciavano a pensare coi propri cervelli, assistiti inoltre dal microscopio, di recente venuto alla luce. Verso la fine del Seicento un medico inglese, il Sydenham, aveva pubblicato un libro nel quale incitava i suoi colleghi a «tornare al capezzale dei malati», a fondare cioè le loro teorie sui sintomi che il paziente rivelava, stabilendo, insomma, la vitale importanza dell'esperienza clinica. Fino ad allora infatti le cose erano andate molto diversamente. Galeno era morto nel 200 dopo Cristo, ma la sua opinione che il corpo fosse composto di certi «umori » (quattro, originalmente, di numero), le malattie risultando dall'assenza o dalla superproduzione di un particolare «umore », aveva dominato il mondo della medicina, come abbiamo detto, per cinquecento anni. La gran massa dei medici, imbevuta di questo dogmatismo, non studiava i sintomi dei pazienti, ma si limitava a constatare che uno degli «elementi vitali» del malato mancava o era in eccessiva quantità, e prescriveva la cura di conseguenza. Quando si cominciò finalmente a studiare il malato, molte stranissime discrepanze risultarono. A John Knyveton era stato insegnato che causa della malattia era sempre l’antica teoria degli umori, ma poi egli era stato mandato a studiare i pazienti nei grandi ospedali, ed è indubbio ch'egli abbia scoperto più di un'anomalia, poi che i libri di testo della sua epoca erano un miscuglio delle premesse galeniane e delle nuove teorie scientifiche, che cominciavano ad affermarsi. È difficile per noi, nei nostri tempi di asepsi e d'igiene, comprendere le condizioni di un ospedale di allora, se non addentrandoci in questi argomenti accademici. Non c'era allora nessuna norma igienica; e poiché l'aria fresca era considerata pericolosa, le finestre erano sempre rigorosamente chiuse. Rari i bagni e largamente considerati nocivi; e perfino la nobiltà putiva in modo da far arrossire un moderno vagabondo. Pidocchi e sporcizia si trovavano da per tutto, e poiché tutto s'ignorava di batteriologia, la più lieve ferita inflitta da un chirurgo andava in suppurazione e risanava lentamente solo per granulazione. Per questo motivo i chirurghi quando si trovavano di fronte a una larga ferita cercavano di ottenere una superficie piana che fosse possibile purificare mediante cauterizzazione, cioè col fuoco. Così, se vi rompevate una gamba, e l'osso sporgeva, l'arto era perduto; e per la mancanza di anestetici dovevate sopportare il dolore come meglio potevate, molti morendo di spasimo e d'emozione. L'interno del corpo era, naturalmente, il Regno del Mistero: chi soffriva d'appendicite o d'altre gravi affezioni intestinali moriva in breve tempo: nessuno poteva porre fine alle sue sofferenze e il chirurgo si limitava a dare tutta la sua simpatia, impotente a fare di più. I dentisti tentavano eroicamente di curare un dente marcio bruciando la parte annerita con filo di ferro scaldato a bianco, riempiendo poi la cavità, se il paziente lo voleva, con piombo o oro fusi. Secondo la teoria di Galeno, il salasso era una panacea per tutti i mali, perché liberava il corpo del particolare «umore » che lo affliggeva, lasciandolo più libero di lottare con ciò che restava. Le ferite erano poi indotte a suppurare, affinché il corpo potesse più rapidamente liberarsi delle sue porzioni basiche. Una volta che si sappia tutto ciò, l'ospedale di quei giorni può essere meglio immaginato che descritto; e a causa di ciò abbiamo creduto bene, pur lasciando il Diario parlare di se, alterare i nomi che vi figurano, e soprattutto il nome e la posizione dell'ospedale in cui lavorò John Knyveton. Le condizioni dell'«Infirmary Hall » erano quelle d'ogni altro ospedale dell'epoca, ma v'è sempre chi potrebbe credere che noi s'abbia un particolare interesse a tenere nascosto il vero nome dell'ospedale, questa essendo un'epoca di impudenti allusioni letterarie. Resta ancora una cosa da dire. Chi aspirasse a divenire medico o chirurgo faceva pratica, come abbiamo detto, presso un medico professionista prima di completare il suo tirocinio in un'università o in un ospedale. In quei giorni la professione di medico non veniva considerata gran che, ed era possibile a uno studente dopo solo sei mesi di pratica in un ospedale ottenere un diploma che fosse un po' più d'una licenza d’esercitare, Medicina, la imparava dall'uomo presso il quale aveva fatto pratica, ma l'anatomia era la disciplina di maggiore importanza, senza la quale non si poteva apprendere la chirurgia, e lo studente poteva studiarla o all’ospedale, come aveva fatto il fratello di John Knyveton al St. George's Hospital, o nella casa privata di qualche medico o di qualche chirurgo addetto all'ospedale, come fece lo stesso John. In questo caso una parola di quel medico o di quel chirurgo erano spesso sufficienti per ottenere allo studente una licenza. Questo infatti accadde a John, quando, speso tutto il suo denaro in sei mesi, dovette affrontare il problema di trovare un'occupazione che gli desse da vivere. John Knyveton, dopo molte vicissitudini, ritornò a Londra, dove si stabili in Oxendon Street, Haymarket, con la laurea di dottore in Medicina dell'Aberdeen University e diventando docente di ostetricia nel suo vecchio ospedale, l'Infirmary Hall. E a Londra sposò nel 1763 Elizabeth Brodie, figlia del signor Brodie, fornitore dell'esercito. Di sua moglie scrive ch'era «di modi amabili, di temperamento gentile, di retto giudizio e arricchita dalla lettura e dalla conversazione con gente bennata». Morì nel 1809. Questo volume comprende solo il primo anno della sua vita di medico. Dalla prefazione di Ernest Gray