Per anni ho desiderato di poter studiare ciò che rende così particolare la visione del mondo tipica degli aborigeni. Per quale motivo vedono la vita in modo differente da noi? Che cosa li lega alle loro foreste, alle loro isole, e ai loro appezzamenti di terreno? Ho cercato ovunque i ‘messaggeri degli dei, chiedendo loro di mostrarmi come si entra in contatto con la natura animati dallo spirito della complicità. E sono stato fortunato, perché in tutti i luoghi visitati ho incontrato uomini che provavano il bisogno di comunicare questa conoscenza a un mondo più ampio. Ho recepito il messaggio di questi uomini saggi acquisendo una maggiore comprensione del ruolo del mare, delle foreste e della terra. E avrò sempre caro il ricordo del mio primo incontro con la dolce cacofonia dei rumori della giungla mentre pagaiavo lungo il fiume Layar nel Borneo. Nel canto di un uccello sentivo l'eco della voce di un dio che mi chiamava dall'alto. Circondato dalle ombre della folta vegetazione e avvolto dalla luce tenue del sole distante, ero immerso in lino spazio infinito occupato solo da piante rampicanti, foglie e orchidee fiorite. Sopraffatto da tanta vegetazione, ho capito di dover affrontare il processo che mi avrebbe aiutato a venire ti patti con l'esilio dal giardino della natura che io stesso mi ero imposto.