Vie dell'acciuga

Vie dell'acciuga

Rangoni Laura


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Da molto tempo il principale obiettivo di alcuni studiosi è ripercorrere la storia dell'alimentazione, perfino nei suoi aspetti più particolari, come nel caso appunto dell'acciuga, e cercare di capire l'evoluzione dei cibi dal passato, anche lontano, ad oggi. Si studia il passato per capire il presente. La storia alimentare dell'uomo è una storia di fame, eppure il prodotto di tanti secoli di evoluzione e di perfezionamento tecnico e scientifico, agli inizi di questo terzo millennio, è alle prese con un problema che riguarda il 30% della popolazione: l'obesità o, almeno, il soprappeso. L'alimentazione, scarsa e spesso cattiva, caratteristica di un'economia di sussistenza, preindustriale e autarchica che, dagli albori della storia, è continuata ininterrotta fino a meno di cent'anni fa è scomparsa, è stata debellata come la pellagra e altre malattie perniciose e mortali. Possiamo solamente cercare di immaginare come fosse, ma ci è impossibile ricostruirla, recuperarla. I prodotti sono cambiati, così come la composizione chimica della terra e delle acque, l'inquinamento ha stravolto le stagioni e i ritmi naturali, e nemmeno il lavoro dell'uomo è più lo stesso, dai sistemi di aratura, di pesca, di allevamento. La fame, la miseria sono scomparse in Italia con il boom economico degli anni '60, quando bene o male tutti potevano permettersi la bistecca e, nel caso del pesce, non più la povera acciuga, ma il più pregiato e sofisticato pesce di primo prezzo. Siamo diventati un popolo ricco e grasso, che pensa continuamente alle diete, che inventa formaggi light, che disdegna il caro buon vecchio lardo e preferisce la margarina, che insegue non più la salute intesa come benessere fisico, ma la propria mortificazione nel tentativo di assomigliare a un modello irrealizzabile di bellezza alla Barbie. Gli odori, i colori, i sapori di quei cibi del passato, monotoni, scarsi, spesse volte di seconda scelta, sono irrimediabilmente perduti, possiamo solamente immaginarli o cercare di ricostruirli reinventandoli, come si fa con i fossili dei quali possediamo pochi pezzi. È l'operazione economica che fanno molte trattorie tipiche o locali caratteristici, dove servono la cucina tradizionale, quella povera, a prezzi da capogiro. Anche questa è una mistificazione. Ma vediamo da vicino l'alimentazione delle classi meno abbienti, che sostanzialmente non è cambiata dalla caduta dell'impero romano a cinquant'anni fa, e cercheremo di capire quale posto vi abbia trovato l'acciuga. Precisiamo innanzitutto che l'ambiente più povero in passato era senz'altro quello urbano, poiché nelle campagne vi era comunque la possibilità di coltivare un piccolo orto per le esigenze familiari, tenere un pollaio; era possibile cacciare e pescare anche di frodo, e accedere ai prodotti spontanei che la natura generosamente offre. Inoltre la legna da ardere era sempre abbondante o a buon mercato. Le città dipendevano dalle campagne per l'approvvigionamento di merci e derrate, e quando il cibo era scarso, i cittadini erano svantaggiati perché dovevano dividersi solamente quello che era stato portato al mercato, senza la possibilità di immagazzinare scorte. Inoltre non potevano contare sulla freschezza dei prodotti, non sempre almeno. Il lusso di raccogliere un uovo dal nido e di berlo ancora tiepido è stato, a lungo, prerogativa dei contadini.
Autore
Ean / Isbn
978887889116
Pagine
174
Data pubblicazione
01/11/2001