Corazzate Vittorio Veneto

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Sgarlato Alessio


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All’inizio degli anni Trenta l'Italia affrontava la minaccia, percepita come incombente e concreta, di una Seconda Guerra Mondiale come una delle cinque potenze navali più forti del globo. Formulato un piano di riarmo per ottenere una flotta capace di tenere testa a due potenze altrettanto rilevanti come la Francia e l'Inghilterra, la nazione si preparava a costruire navi ritenute eccellenti quando non addirittura all'avanguardia, malgrado non avesse avuto la lungimiranza necessaria per capire quali sarebbero state le innovazioni tecniche più determinanti della guerra moderna: l'aereo imbarcato e il radar. All'unica prova che conta, quella del conflitto vero e proprio, questa flotta rivoluzionaria di navi robuste, potenti e veloci non si rivelò all'altezza delle ambizioni. Ciò per tutta una serie di motivi che più avanti risulteranno evidenti al lettore, ma qui se ne vogliono elencare due: l'atteggiamento timoroso nel suo impiego e la scarsa efficacia delle artiglierie maggiori Una flotta che non esce mai dal porto è, secondo un certo concetto di strategia navale importante durante tutto il '900, comunque un'arma da temere: rappresenta una minaccia potenziale per il nemico tale da fungere da deterrente contro la possibilità dell'intrusione in acque nazionali. Tuttavia lo Stato Maggiore italiano abusò di questa minaccia, usando l'arma navale solo in maniera intempestiva e quando tutte le altre condizioni risultavano più che perfette. Una catena di comando più leggera inoltre, che consentisse maggiore autonomia ai comandanti di squadra, forse avrebbe potuto controbilanciare quest'atteggiamento esitante di chi stava al vertice. Per quanto riguarda il secondo aspetto, nel tiro navale i cannoni di grosso calibro richiedono il caricamento di due componenti: il proietto e il cartoccio. Il primo viene lanciato contro il bersaglio dalla combustione esplosiva della carica del secondo. Velocità di uscita e gittata utile sono il risultato della quantità di materiale esplosivo presente nella carica. In Italia i test per determinare il caricamento ideale e i controlli affinché fossero imbarcate cariche idonee furono a lungo insufficienti. La stessa leggerezza fu usata anche nel verificare la coerenza fra cannoni dello stesso tipo di alcune altre caratteristiche, come l'elevazione. Le navi italiane, penalizzate da armamenti teoricamente ottimi ma costruiti "un tanto al chilo", tiravano in combattimento salve destinate a disperdersi in punti di caduta molto distanti l'uno dall'altro, mentre le bordate del nemico erano ben più efficaci nel concentrarsi sul punto di arrivo calcolato. La classe Vittorio Veneto, pensata per diventare la punta di diamante della Regia Marina, non fu estranea a questi due grandi limiti. Peccato! Perché a parte i sogni di gloria, si finì per penalizzare la miglior costruzione navale di tutta la storia militare italiana e, a quei tempi, del mondo.
Ean / Isbn
977228427023
Pagine
96
Data pubblicazione
01/07/2019