Alla sua uscita, il testo di Leopoldo Franchetti non suscitò molti entusiasmi nell’opinione pubblica. Giornali e notabili siciliani, in particolare, accusarono l’autore di pregiudizi contro l’isola. Ma l’intellettuale toscano ricordava che aveva portato a termine quell’impegno perché i siciliani potessero usufruire un giorno della pace civile di cui godevano altri italiani del continente. Le sue riflessioni sono divenute un punto di riferimento negli studi sul fenomeno mafioso, e tanto più oggi rivelano la loro lungimiranza. In un’epoca in cui le analisi di Tocqueville sulla democrazia americana appaiono indebolite dalle derive oligarchiche di questa nazione, la lucida analisi dello studioso italiano non sembra più in sintonia con un mondo soggetto a derive mafiose che appaiono inarrestabili? Da decenni si parla di «meridionalizzazione » del Nord, per sottolineare l’importanza crescente assunta dal «modello siciliano». In realtà, sembra proprio che ovunque valga la triste legge di Gresham: la moneta cattiva scaccia sempre quella buona. Se Tocqueville fu allora il profeta del secolo americano, Franchetti non fu, per certi versi, il profeta delle derive criminali del nostro tempo?